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Il secolo XVI - La terra
La costruzione del primo nucleo di centro urbano avvenne durante la prima metà del '400 ad opera di Ruggerotto Spatafora, in particolare dopo il "regio placet" a costruire la terra di Maletto, da parte del re Alfonso d'Aragona. Maletto veniva indicato in questo periodo solo come "feudum", mentre il termine "terra" stava a significare l'esistenza di un centro abitato.
In questo centro abitato, costituito dalle prime abitazioni attorno al castello, si raccolse per la seconda volta una esigua popolazione di contadini e pastori, che tuttavia si disperdette durante lo stesso secolo per le condizioni economiche e di mera sopravvivenza, certamente non favorite dal signore feudale, non perché questi fosse inumano o facesse più di quanto altri baroni facevano, ma i tempi erano tristi, ancor più aggravati dagli effetti del mero e misto impero che conferiva al signore un immenso potere, anche di vita e di morte sui miseri terrazzani.
Il 2 novembre 1470 Ruggerotto, non avendo avuto figli, nominò eredi i nipoti Salimbeni e Giovanni Spatafora, figli del fratello Antonio Spatafora De Cortellis, che subito ottennero la restituzione del feudo di Maletto, già sequestrato, con tutti gli altri suoi beni, per ribellione.
Salimbeni morì poco dopo lasciando erede la figlia Giovanna che ebbe una lite con lo zio Giovanni per l'eredità, conclusasi con l'assegnazione a Giovanni Spatafora dei feudi di Maletto, Cachono e Michinesi e divenendo così il successore feudale a Maletto dello zio Ruggerotto con l'investitura ricevuta l'11 dicembre 1479.
A Giovanni succedette il figlio Giovannello Spatafora ricevendo l'investitura del feudo di Maletto il 15 luglio 1499.Questi rivendicò lo stato di Roccella Valdemone e altri feudi, essendone, quindi, il 3 luglio 151O investito "more francorum".
Giovanni Michele Spatafora, figlio di Giovannello, in occasione delle nozze ricevette dal padre, appunto "propter nuptias" i feudi di Maletto e Michinesi, per i quali venne investito il 18.6.1510.
Questo feudatario rappresenta un'altro punto fermo nella evoluzione di Maletto, dandovi un altro decisivo impulso per la formazione del centro abitato. Infatti, dopo Ruggerotto, sotto il quale era sorto il primo nucleo urbano, con Giovanni Michele vennero costruiti i principali edifici aventi una funzione pubblica. Nel 1502 il Vescovo di Messina, Pietro Belladoro aveva concesso l'exequatur per la costruzione della Chiesa di S. Michele Arcangelo, costruita successivamente e così intitolata dal nome del signore feudale. La Chiesa era proprietà del feudatario e a carico di questi stava il suo mantenimento; il feudatario aveva inoltre il diritto, quale rappresentante dei diritti baronali, di presentare il Parroco che veniva poi formalmente nominato dal Vescovo. Sotto la Chiesa venne costruito il primo cimitero che serviva per gli abitanti del borgo. Accanto alla Chiesa venne costruito il palazzo baronale e i primi edifici attorno allo stesso. Si tratta evidentemente delle costruzioni che oggi si trovano, molto cambiate, nell'area delimitata dalle attuali Via S.Antonio, S.Michele e Umberto. Il feudatario e la sua famiglia, o i propri rappresentanti, seguivano i servizi religiosi nella Chiesa di S.Michele da un palco (il matroneo) situato in fondo all'unica navata della Chiesa, al quale si accedeva direttamente dal primo piano del palazzo. La servitù e i lavoranti, invece, accedevano dal piano terra del palazzo, mediante una porticina posta sotto il palco.
Lo stesso Giovanni Michele, nel quadro del riordino dei diritti feudali operato dall'Imperatore Carlo V a partire dal 1520,ricevette conferma dei diritti già concessi a Ruggerotto nel secolo precedente, in particolare il mero e misto impero, cioè la giurisdizione civile e criminale sugli abitanti del feudo e in più ottenne "il bajulato", che era il titolo e la carica che davano il diritto di esigere le tasse (decime ed angherie) insieme a quello di tenere le prigioni che vennero costruite nei sotterranei del costruendo palazzo baronale. Gli venne tolta però la "facultas mutilandi et occidendi", orrenda barbarie anche per quei tempi.
Si riaggregò così, durante la prima metà del XVI secolo, una piccola popolazione costituita in massima parte dal personale del feudo (amministratori, campieri, servitù, lavoranti etc.) oltre che da pochi contadini, pastori e carbonai, che a vario titolo lavoravano nel grande bosco alle falde dell'Etna, peraltro dato in arrendamento ai marchesi Romei da Randazzo. Fino a quel secolo infatti tutto il territorio di Maletto era costituito da fitte boscaglie e le terre lavorate erano quasi inesistenti.
L'imperatore Carlo V, durante la sua visita a Randazzo nel 1535,obbligò gli abitanti sparsi nei casali della zona a riunirsi nel solo casale di Bronte, ciò al fine di una migliore amministrazione della giustizia e per sottrarli agli assalti di veri e propri eserciti di briganti e malfattori che infestavano la zona alla ricerca di prede e saccheggio. Il feudo di Maletto rimase così chiuso all'interno del territorio di Bronte, dando origine alla secolare rivalità e campanilismo che opporrà gli abitanti di Maletto e Bronte.
Gli abitanti del vicino casale di S.Venera, obbligati così a lasciare le loro case, in massima parte però non si recarono a Bronte, bensì a Maletto, ove mantennero vivo il culto per Santa Venera sino al secolo successivo. Ciò è chiaramente attestato da una supplica del 1660 fatta dal Cappellano dell'epoca Sac. Antonino Scarlata al Vescovo di Monreale, in visita a Bronte, per andare processionalmente nella Chiesa di S.Venera, trovandosi essa in territorio di Bronte. La licenza venne concessa per i casi in cui vi sarà penuria d'acqua o siccità. Detta devozione si manterrà trasferendosi successivamente nella Chiesa della Madonna del Carmine, costruita in territorio di Maletto nel corso del 1600.
La Chiesa ed il Casale di S.Venera, di origine bizantina, a seguito della forzata unione con Bronte, assieme ad altri 23 casali, vennero abbandonati e la Chiesa andò in rovina e si diroccò. Secondo un cronista dell'epoca, il Cappuccino Padre Anselmo Grasso da Randazzo, S.Venera comparve in sogno ad una donna di Maletto, dicendole di andare a pregare sulle rovine della sua chiesa e che avrebbe avuto così guarito il proprio figlio, infermo da molto tempo. La donna vi andò, portandosi il figlio malato, il quale fu subito guarito. Il fatto si divulgò in tutta la zona e una grande folla accorse a baciare e toccare le rovine della Chiesa, ottenendo gli infermi miracolose guarigioni. In breve tempo, nel periodo fra il 1657 e il 1666,si ricostruì la Chiesa, grazie all'opera del Sac. Antonino Scarlata, che ottenne come prima detto il permesso per l'esercizio del culto. La Chiesa successivamente abbandonata, rovinò nuovamente fino alla sua totale scomparsa qualche decennio addietro.
Il castello intanto aveva perduto la sua funzione militare, anche se ancora nel 1557 era intatto e caratterizzante il sito. Filoteo degli Omodei in tale anno così lo descrive: "...E quindi tirando (da Maniace) verso levante circa tre miglia verso le falde di Mongibello, si ritrova un castello o rocca, fondato sopra un'alta e dirupata rupe cinta da grepposi balzi, chiamato il Castello di Maretto, perciocché quivi è una palude o lago (della Gurrida),che il più del tempo vi sta un picciolo mare...".
Già dal secolo XV, la fortificazione della Rocca del Fano subiva un inizio di decadenza, perché Randazzo non aveva più bisogno di difendersi né da eserciti stranieri, né da altri pericoli militari; con la costruzione del centro urbano, la fortificazione vide solo delle guardie che a turno, da lì scrutavano la grande via e l'ampia valle sottostanti. Inoltre, era stata aperta la strada costiera Catania – Taormina - Messina, per cui i traffici provenienti da Catania non attraversavano più Randazzo per Messina e, quindi, la grande via diminuì d'importanza. Infine Randazzo non era più fra le principali città del Regno e da ciò il venir meno della funzione militare del Castello di Maletto.
Il terremoto del 1693,che sconvolse tutta la Sicilia orientale, pur provocando lievi danni a Maletto, determinò il definitivo abbandono e la irreversibile distruzione, operata in tempi successivi del Castello.
Un'altra descrizione interessante del Castello è quella del canonico Giuseppe Recupero del 1815 " La Torre di Maletto è fabbricata sopra una grad'ala di Mongibello, ed alla falda d'un autentico vulcano. Non altro v'è d'antico, che un Castello mezzo diruto posto sopra un'alta Rocca tinta di colore giallo. Molti strati di pietra arenaria posti a perpendicolo, ed un poco inclinati l'un contra l'altro formano la medesima, la cui figura per la posizione dé suoi strati é quasi prismatica ...".
Nell'arco di tempo che va dagli inizi del 1500 agli inizi del 1600, l'economia siciliana è interessata da un forte aumento dei prezzi, specie di quelli del grano, con un rialzo di quattro volte e mezzo, dell'orzo, dell'olio, del vino e via via delle derrate alimentari e degli altri generi di consumo. Questa rivoluzione dei prezzi è determinata principalmente dall'afflusso in Europa dei metalli preziosi prevenienti dalle Americhe, di recente scoperte; dalle svalutazioni monetarie, dall'aumento delle esportazioni; dall'aumento della popolazione.
Il forte rialzo dei prezzi spinge la nobiltà siciliana ad una vasta opera di colonizzazione interna della Sicilia che determina, tra il 1573 e il 1653 la nascita di ben 88 nuovi comuni rurali e che mira anzitutto ad intensificare la produzione dei grano i cui prezzi sono rapidamente cresciuti. Per attirare coloni nelle loro terre dell'interno, i baroni concedono esenzioni da prestazioni feudali (prestazioni gratuite e servitù personali),costruiscono abitazioni, largheggiano in soccorsi e anticipi di sementi, animali, grano per il vitto, concedono terre per la coltivazione dietro canoni d'affitto irrisori.
Finisce in questo periodo il "villanaggio" e subentrano nuove forme di lavoro: il contratto di colonna a borgenzatico, il terraggio (canone 4 tumuli di frumento per ogni tumulo di terreno),concessioni enfiteutiche con canoni in natura, l'arrendamento di terre, greggi e diritti feudali, fino ad arrivare alla gabella vera e propria di interi feudi.
In questo contesto Giovanni Michele Spatafora, dopo avere sposato in prime nozze Violante del Bosco dei conti di Vicari e in seconde Lucrezia Moncada dei Principi di Paternò, donò nel 1541 al figlio Giovanni, in occasione delle nozze, il feudo di Maletto. Poscia, dopo essersi investito dei feudi di Michinesi, Cachono e Roccella nel 1557, morì nell'anno 1563.
Quindi Giovanni, succedendo al padre, si reinvestì di Maletto nel 1557 e degli altri feudi nel 1564 e morì senza figli.
Non avendo avuto figli, gli succedette "ex patre" il nipote Michele Spatafora Bologna, figlio di Francesco ed Eleonora Bologna, il quale venne investito del feudo e Castello di Maletto, di Roccella, Cachono e Michinesi il 22.dicembre 1572, alla morte dello zio Giovanni.
L'investitura venne confermata il 26 agosto 1600 a Palermo, nel Palazzo reale alla presenza del viceré don Bernardino di Cardenas, duca di Maqueda e marchese di Elche, a seguito della successione del re di Spagna Filippo III al defunto Filippo II (anno 1598).
Michele Spatafora Bologna, fu Pretore di Palermo nel 1601 e col diritto al 12° posto nel braccio baronale del Parlamento siciliano. Sarà nel 1619 il primo Principe di Maletto e il primo Marchese di Roccella. Egli è il personaggio chiave per la formazione della terra di Maletto.
Con l'attribuzione del nuovo titolo nobiliare di Principato, Maletto sarà uno degli 88 comuni rurali di cui sopra e la popolazione, nuovamente in parte dispersasi alla fine del '500,grazie ai provvedimenti del primo Principe di Maletto e dei suoi successori diventerà definitiva e stabile costituendo le radici per tutte le famiglie malettesi dal 1600 ad oggi.
Maletto, marzo 1995
Giorgio M. Luca
(da Logos del 12.3.1995 - Avvenimenti e personaggi nella storia di Maletto - di Giorgio M. Luca)
Appendice
INVESTITURA DI MALETTO PRESA DA DON MICHELE SPATAFORA (E BOLOGNA).
Il 26 agosto XIII ind. 16OO. Presso la felice città di Palermo e nel sacro regio Palazzo della medesima città è presente Giuseppe Mandanici procuratore in virtù di procura celebrata agli atti del notaio Antonio di Salvo della terra di Novara (di Sicilia) il XV agosto XIII Ind.16OO.(Il Mandanici è rappresentante) dell'Ill.mo Don Michele Spatafora, Marchese della terra di Roccella, possessore del feudo col Castello di Maletto per se, suoi eredi e successori in perpetuo, giusta la forma dei suoi privilegi con tutti i suoi diritti e le pertinenze e con l'integro suo stato come è in potere del detto Ill.mo Don Michele Spatafora, in seguito all'investitura da lui presa nel passato 22 dicembre 1572. La quale investitura insieme con la dilazione del termine
per prenderla a causa della successione (del re di Spagna),presso la regia segreteria e Gran Regia Corte, per cautela della corte, vide ed accettò lo spettabile consultore nobile Florio Gomes, designato dal tribunale del real patrimonio, quale procuratore nell'interesse a nome
della corte, in presenza dell'Ill.mo ed Eccell.mo don Bernardino di Cardenas, duca di Maqueda e Marchese di Elche, vicerè e capitano generale di questo regno di Sicilia, per il feudo col Castello predetto a causa della morte della buona memoria di Filippo II (+ 13.9.1598) ex re e
nostro signore e per la felicissima successione di sua maestà Filippo III (13.9.1598) nostro signore re invittissimo, (il procuratore Mandanici) prestò e fece il giuramento e l'omaggio della dovuta fedeltà e di vassallaggio eseguito con le mani e con la bocca, nella forma dovuta
e consueta giusto il contenuto e il tenore delle sacre imperiali costituzioni del detto regno nelle mani e in potere di S.E. che lo ricevette a nome e per parte della sacra regia cattolica maestà nostro Signore re Filippo III predetto,(re invittissimo) delle Spagne, delle due
Sicilie e di Gerusalemme e (a nome) dei suoi successori in perpetuo (lo) ricevette, fatti salvi tuttavia tutti i diritti riservati alla Regia Corte, che nell'ambito dei privilegi del feudo col castello predetto si sogliono riservare alla medesima corte, tuttavia rispettando la natura e
la forma del feudo con il ( debito ) servizio militare, rimanendo sempresalvi e illesi i diritti di ogni genere spettanti alla regia corte, e non altrimenti nè in altro modo. (Erano) presenti a questi atti come testimoni Andreotta Cotta e Giovan Domenico Sferlazza, Regio apparitore e
tanti altri sempre come testi. La presente annotazione Š stata fatta in luogo di investitura, redatta e registrata negli uffici del Protonotaro del regno di Sicilia e della regia Cancelleria giusta la forma dei capitoli del regno, tuttavia senza aver prodotto (la presente annotazione) alcun pregiudizio ai diritti della regia corte, né tacitamente nè espressamente, ma quelli (diritti) sempre rimangono intatti.
Vide Florì Gomes de Omescua - Nicola Antonino La Porta Collettore della decima e tarì.
(Copia estratta) dal registro dell'Ufficio del Protonotaro del Regno di Sicilia. Collazione salva. Pietro Cappelletto.
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