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La fine del feudo Spadafora

 

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La storia di Maletto nell’ 800, come di molti altri comuni della Sicilia, è stata profondamente influenzata, nel suo inizio, dall’ anno 1812, in cui avviene la rottura fra il sistema feudale e il periodo post feudale con l’avvio di un nuovo sistema economico e diverso che radicalmente doveva incidere sulle strutture economiche e sociali dell’ isola.

Il 19. luglio 1812 viene approvata dal Parlamento siciliano la Costituzione, di ispirazione inglese, voluta da larga parte della feudalità che intendeva così liberare la terra da vincoli e gravami a suo esclusivo vantaggio. La costituzione prevede, fra l’altro, 1’ abolizione del feudalesimo, del fidecommesso, del maggiorascato e delle soggiogazioni gravanti sulle proprietà e sulle rendite. Lascia ai baroni la piena disponibilità delle an­tiche difese, cioè i terreni baronali non soggetti ad usi civici, ma intende trasformare “i cafoni” in agricoltori mediante la divisione in favore delle università ( i comuni) dei demani feudali e la ripartizione ulteriore di questi, oltre ai demani universali (appartenenti alle università) fra i contadini mediante quotizzazioni.
Si passa dall’ economia feudale, basata sul possesso o sul diritto di godimento, vincolato del feudatario e soggetto agli obblighi che questi aveva nei confronti del re, da un lato, e dei suoi terrazzani, dall’ altro, all’ economia libera e borghese che conferisce all’ ex feudatario la assoluta proprietà delle terre non soggette ad usi civici, di parte di quest’ ultime a seguito dello scioglimento delle promiscuità e lo libera da tutti gli obblighi e servizi pubblici cui era tenuto a provvedere, svin­colando, inoltre lo stesso feudo dall’ obbligo di conserva re l’ intera consistenza con 1’ abolizione del fidecommesso.
Anche se poi la costituzione del 1812 non sarà pienamente applicata, gli effetti dell’ abolizione del feudalesimo rimasero, con la conseguenza che, anche a Maletto finisce la giurisdizione del mero e misto imperio della Casa Spadafora che dal XIV secolo era feudataria di questa terra e, quindi, successivamente con lo scioglimento dei diritti promiscui gravanti sulle terre comuni del feudo.
Nel primo decennio dell’ 800 Maletto è un piccolo borgo feudale, nel quale vivono circa 1.300 abitanti, quasi totalmente contadini e pastori, costituito da piccole casupole di legno, di pietre a secco o di rudimentale muratura, nelle quali vivono le famiglie dei malettesi assieme ai loro animali da lavoro e domestici. Gli edifici con un piano sopraelevato, costruiti nel corso del 1600 e del 1700, sono pochissimi, concentrati nella parte attorno al Castello o al Palazzo baronale, le attuali Vie S. Michele, Schilirò, Petrina, S. Antonio, Umberto, Calì etc. ed abitati dalle famiglie cosiddette dei ‘civili”, benestanti, di solito concessionari delle terre feudali i cui figli cominciano a diven­tare avvocati, notai, medici, farmacisti.
La famiglia Spadafora, feudataria di Maletto dal 1386, era stata investita del Principato della stessa terra nel 1619, e 1’ultimo principe, Don Domenico Spadafora e Colonna, che morirà a Palermo nel 1851, vi esercita la giurisdizione baronale ed è il proprietario feudale di quasi tutto il territorio esteso 1815 salme della misura legale di allora. Da questo feudo ricava una rendita annua di onze 805, proveniente sia dai fondi tenuti in economia (denominati anch’ essi feudi): Margi, Spirini, Viscusi,Feudo Soprano, Bosco dell’ Etna; sia dalle decime e gabelle su altri terreni: Poggio del Pizzo, Carmine, vigneti etc. ; sia dai censi o canoni in frumento, segale e denaro provenienti dagli enfiteuti dei fondi del Menzagno, Piano Carmine, Roccaro, Marullo, che hanno avuti concessi tali terreni in passato. Il Principe governa il borgo mediante gli organi dell’ am­ministrazione feudale del tempo.
I Giurati che nel 1809 sono: Vittorio Russo, Nunzio Nibali, Antonino Calì, Antonino Leanza e poi fino alla riforma borbonica del 1817 e la costituzione del consiglio decurionale: Pietro Paolo Galvagno, Andrea Nibali, Antonino Imbrogiano, Pietro Paolo Russo. Il Magistrato municipale nel 1814 è don Pietro La Piana, ultimo a rivestire tale incarico prima dell’ insediamento dei Sindaci. Il Capitano giustiziere, don Giuseppe Fiorini; il Giudice criminale Mastro Giuseppe Leanza e il giudice fiscale Mastro Carmelo Schilirò.
Governa, altresì, l’amministrazione del beni feudali at­traverso un amministratore, ultimo dei quali nel 1812 è don Paolo Raffone; un procuratore, don Filippo Aricò; un esattore e cassiere, il Sac. Antonino Tirendi; due campieri, Antonino Musso e Carmelo Morici, alla fine del ‘ 700 e poi Grupposo ed Azzarello.
Il Principe soggiorna raramente a Maletto, tuttavia ha un rapporto quasi familiare con gli abitanti: tratta con tutti, con­osce i bisogni di ognuno ed è prodigo di liberalità verso la Chiesa e verso i suoi vassalli. Riscuote il diritto dominicale sui terreni dati in concessione o in enfiteusi, irrisorio rispetto alla produzione, della quale gran parte rimane ai concessionari. In virtù del sistema feudale gli abitanti esercitano gli usi civici in promiscuità col Principe sulle terre dette comuni: Feudo Soprano e Sottano, Viscusi, Margi e Spirini, che possono semi­nare un anno sì e uno no; non devono pagare cosa alcuna quando si seminano i legumi, possono ararle in ogni tempo e pascolarle con qualunque tipo di bestiame. Il Principe per­cepisce il terraggio in frumento, segale ed orzo nell’ anno in cui vengono seminate, mentre quando non vengono seminate vi esercita il compascolo. Sul bosco detto comune o aperto, che è di assoluta propri età della comunità, il Principe ha solo il diritto di esigervi il terraggio in segale limitatamente a quelle piccole porzioni che si seminano. Il bosco detto chiuso, il più bello e ricco di piante, è di proprietà dei Principe; i singoli hanno diritto di pascere, raccogliere ghiande, fare legna per ardere e per carbone, nonché per costruire le case e gli strumenti di lavoro. Parte di questo bosco è concesso in arrendamento, cioè in affitto, per il pascolo al Barone Romeo di Randazzo.
La Parrocchia che comprende la Chiesa Matrice di S. Michele Arcangelo, quella di S. Antonio di Padova e quella della Madonna del Carmine, è retta dal l807 e fino al 1847, dall’ Ar­ciprete Parroco Onofrio Ponzo da Bronte, Abate di S. Stefano. Essa è sotto il patronato del Principe che provvede al man­tenimento del Parroco con 1’ annuo congrua di onze nove, mentre altrettante le ricava da legati, lasciti e censi su terreni e case. Il clero in questo periodo è abbastanza numeroso. vi sono i Sac. Giuseppe Gulino, Vicario; Antonino Ti rendi, esattore del feudo; Francesco Saverio Battaglia, futuro Vicario Foraneo, estensore degli atti del Comune e della Chiesa, nonché deputato alla ruota dei proietti; Pasquale Sgro e Qnofrio Putrino, poco più tardi. Dal 1819 e fino al 1844, la Chiesa di Maletto passa dalla Diocesi di Messina e quella di Nicosia e indi a quella di Catania.
Gli abitanti sono strutturati socialmente nella classe dei civili, composta da proprietari terrieri e concessionari delle terre feudali, da cui promanano i professionisti e gli intellettuali che saranno gli amministratori della nuova istituzione com­unale dal 1818: i Notai don Paolo Petrina e poi il figlio don Mariano Petrina; don Giuseppe Putrino e poi il figlio don Antonino Putrino; gli avvocati Mariano Sgro e poi il figlio don Pasquale Sgro, farmacista; don Biagio Palermo e poi i figli Mons. Mariano Palermo e Giuseppe Palermo, indi diversi nipoti fra cui il Dott. Rosario Palermo e da ultimo il pronipote dott. Antonino Palermo; i medici dott. Giuseppe Leanza, primo Sindaco del Comune di Maletto e poi il genero dott. Alfio Calì anch’ egli sindaco; l’agrimen­sore Salvatore Leanza etc. La classe dei bor­ghesi, proprietari terrieri più propriamente dediti all’ impresa agricola, di cui le famiglie Putrino, Tirendi, Sgro, Fiorini, La Piana, Battaglia, Schilirò Giacinto, Spatafora, Costa, Russo, Mangano, Parrinello ed altri. Poi una più numerosa classe di piccoli proprietari, massari ed allevatori ed infine la stragrande maggioran­za formata da bracciali, che non possiedono nulla se non le braccia per il lavoro nelle terre.
Accanto a queste c’ è la classe dei maestri artigiani, formata da intere famiglie e ,discen­denze con lo stesso mestiere: fabbri ferrai le famiglie Luca, Leanza ed Abbadessa; muratori o fabbricieri, Gorgone, Castorina, Micali, Parisi; calzolai, Basilio Gangi, Emanuele Schilirò, Caruso, Guidotti; barbieri Zerbo, Tirendi e Imbrogiano; i falegnami Schilirò Patana, i fratelli Giangreco, Mignone, Perna; i sartori o tessitori Domenico Biondi, Codisposti etc.
Altri addetti al settore commerciale: i Papotto molinari; i pastari Fichera, Parrinello e Fazzio; i bottegai Imbrogiano e Parrinello; i macellai Gulino e Milici; l’ aromatario Giuseppe Bongiovanni; l’orefice Mariano D’ Agata; i trafficanti Serafino Caruso e Gregorio Bonina ed altri ancora.
Nel settore pubblico vi sono le levatrici o raccoglitrici Carmela Sanfilippo e Antonina Cutraro; Epifanio Mannino carceriere comunale; Tomasa Petrosino alla ruota dei proietti etc.
Nel complesso regna un antico equilibrio ed una relativa tranquillità sociale, assicurata dal paternalismo del Principe e dall’ occhio vigile della Chiesa, che fa di Maletto un mondo a sé, isolato anche geograficamente e chiuso ad ogni influsso esterno.
Con l’abolizione del feudalesimo questo mondo viene profondamente sconvolto e 1’ antico equilibrio viene spazzato via, innanzitutto perché sulle terre dell’ ex feudo vengono aboliti i diritti dei singoli e le stesse divengono di assoluta proprietà dell’ ex feudatario e dei suoi eredi venendo meno anche gli obblighi che questi aveva nei confronti dei suoi vassalli.
Con legge del 1816 viene costituito il Regno delle Due Sicilie e la Sicilia perde ogni prerogativa autonomistica; abolito il parlamento siciliano, che era il più antico d’ Europa, scompare anche la dizione di Regno di Sicilia e nel 1817 viene approvata la legge amministrativa che abolisce le tre storiche valli di Sicilia, di origine araba; la Vai Demone, la Vai di Noto e la Val di Mazzara.
Il territorio siciliano viene diviso in sette Intendenze, poi province, con a capo un Intendente, suddivise a loro volta in distretti e, quindi, in Comuni amministrati da un Consiglio Decurionale, un Sindaco e due eletti, tutti nominati dal Re. Inizia I’ amministrazione borbonica. Da queste nuove leggi ha origine uno sconvolgimento politico-economico che durerà per diversi anni prima di trovare un nuovo equilibrio. Da un lato il potere politico passa dai Feudatario al Comune; dall’ altro il potere economico si trasforma da feudale in borghese con immediate gravi conseguenze per le già precarie condizioni dei malettesi.
   Infatti gli eredi del Principe, numerosi e lontani, non si occupano di Maletto, anzi vengono spediti da Palermo nuovi e più esosi amministratori e campieri. Il canone di frumento viene triplicato, portando ad un eccessivo sfruttamento la terra, non più difesa dalle limitazioni imposte dagli obblighi feudali. Il grande bosco di Maletto, dove nel medio evo erano venuti a cacciare il cervo ed il cinghiale Federico II di Svevia, il re Manfredi e i re aragonesi, che circondava l’abitato e nel quale la popolazione aveva diritto di far legna, per la maggior parte che è toccata agli eredi del Principe, è divenuto proprietà chiusa e la foresta secolare viene rapidamente tagliata ed il legname venduto a speculatori.
    Il lavoro nella terra segue adesso la spietata legge del profitto e i contadini cominciano a provare l’intenso sfrut­tamento cui saranno sottoposti nel latifondo siciliano sino a pochi decenni addietro. Finisce così il feudo degli Spadafora, per cinque secoli feudatari di questa terra.
I  nuovi amministratori comunali si trovano a dover affron­tare la nuova situazione con assoluta mancanza di mezzi finan­ziari e la popolazione di Maletto, costretta a vivere in misere condizioni, cerca di migliorare il suo stato partecipando agli avvenimenti politici dell’ 800 in Sicilia. I moti del 1820, la rivoluzione del 1848, la spedizione garibaldino del 1860, 1’ unità d’ Italia.
Però solo negli ultimi 40 anni, per le mutate condizioni politiche nazionali ed internazionali e per le serrate lotte sociali, c’è stato un generale e profondo cambiamento che ha portato a nuove e migliori condizioni di vita.
La storia di Maletto e del suo popolo, nel periodo feudale, il più lungo della sua esistenza, è in definitiva quella di un casale di servi della gleba, affrancatosi lentamente dal secolo XIII al secolo XIX: di una gente cioè, che, come il bestiame e gli attrezzi di lavoro avuti per dissodare i campi e costruire la fortuna del feudatario e signore, seguì in tutto e per tutto, giacché vi fu legata, le sorti stesse del feudo in cui nacque, faticosamente visse e morì, per molte e molte generazioni.
 
Maletto, giugno 1993
 

Giorgio M. Luca

 
 

 
(da Logos dell’11.7.1993 - Avvenimenti e personaggi nella storia di Maletto - di Giorgio M. Luca)